SCALE SOGGETTIVE PER LA VALUTAZIONE DI EFFETTI TERAPEUTICI E LORO USO IN MEDICINA COMPLEMENTARE

A. LIVERANI, Istituto di Igiene e Medicina Preventiva, Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano, e-mail: liverani@imiucca.unimi.it

E. MINELLI, Consulente esperto di Agopuntura e Medicine Naturali del Centro O.M.S. per la Medicina Tradizionale e Naturale Università di Milano, e-mail: crbbmn@imiucca.csi.unimi.it

A. RICCIUTI, Direttore Scientifico Rivista Medicina Naturale, Associazione Italiana Ricerca sui Sistemi, e-mail: alberto.ricciuti@iol.it

 

1 - Premessa

Da lungo tempo la discussione circa l'efficacia delle terapie cosiddette alternative si svolge senza raggiungere punti soddisfacenti sia per la medicina alternativa sia per quella "ufficiale" o "scientifica" che, per non implicare alcun giudizio, nè politico nè etico, chiameremo "convenzionale" appunto in distinzione di quella ormai nota come "complementare ".

L'accento posto a livello internazionale soprattutto dall'OMS a proposito dei costi degli interventi terapeutici ha fatto si che aumentasse l'interesse della comunità sulle medicine complementari in quanto, se efficaci, hanno la caratteristica invidiabile di costare assai meno.

Questa considerazione ha fatto salire l'interesse per i metodi di valutazione degli effetti terapeutici dei trattamenti non convenzionali negli ambienti della comunità scientifica internazionale al punto che la stessa OMS ha lanciato,come vedremo, dal 1995 un programma di ricerca in questo settore con lo scopo di mettere a punto un sistema di valutazione universalmente (rispetto alle medicine ed ai vari paesi) valido della Qualità della vita.

L'obiettivo assai ambizioso s'inquadra comunque in un interesse dell'OMS non mai negato a proposito di questi trattamenti (1983) ed apre una discussione su alcuni campi connessi in generale alla valutazione di effetti terapeutici. Fuor di metafora, ciò significa esaminare criticamente anche tutte le metodologie e tutti gli strumenti fin ad ora considerati cardini delle valutazioni nella medicina convenzionale.

Se da una parte questo processo rientra a pieno diritto nell'abitudine del mondo scientifico di rivedere criticamente ogni ipotesi ed ogni conclusione raggiunta, dall'altra si osserva che la scelta delle suddette metodologie rende più evidenti le differenze di impostazione delle diverse medicine con la forse unica caratteristica unificante costituita dal pensare il mondo sotto la categoria della totalità. La salute infatti non è solo ciò che la medicina individua come malattia, ma è una dimensione esistenziale globale che coinvolge tutta la persona nell'unità dei suoi diversi aspetti: spirituale, mentale, fisico e ambienta-le.

Di fronte a tale complessità l'attuale "modello biomedico" (Engel G.L. 1977, Capra F. 1982) manifesta già da tempo le sue insufficienze, molte delle quali possono essere superate dall'emergente "pensiero sistemico" (von Bertalanffy L. 1969, Miller J.G. 1978, Morin E 1980, Delattre P. 1982, Capra F. 1996). Da questo punto di vista, quindi, può essere utile considerare il problema della valutazione dell'efficacia dei diversi strumenti e metodi di cura ai diversi livelli di organizzazione della materia vivente.

1. Efficacia degli strumenti utilizzati nel produrre effetti biologicamente rilevabili (livello cellulare),

2. Efficacia nel produrre effetti terapeutici in patologie specifiche (livello organismico)

3. Efficacia nel migliorare la salute

a) dell'individuo (livello personale-relazionale)

b) della collettività (livello psicosociale e socieeconomico).

Nel quadro di riferimento che così si presenta con l'intento di contribuire a fare una maggior chiarezza, ci occupiamo nella fattispecie del punto 3a).

Ci si propone qui di esaminare l'utilizzo di strumenti già validati (test di valutazione della qualità della vita) aventi l'obiettivo di evidenziare la variazione delle condizioni del paziente in relazione alla percezione soggettiva del grado di benessere.

Prima di entrare in un’analisi di dettaglio è opportuno osservare che questo tipo di valutazione risulta ad un osservatore "super partes" di per sè disgiunto dal tipo di strumento terapeutico utilizzato e, in aggiunta, si presta particolarmente bene a mettere in evidenza gli eventuali vantaggi ottenuti quando si usino terapie complementari da sole o in associazione con le terapie convenzionali.

La valutazione della qualità di vita, a prescindere dagli strumenti usati per migliorarla, costituisce un aspetto sempre più importante soprattutto quando, particolarmente in presenza di malattie cronico-degenerative, non vi sono terapie certe per l'ottenimento di una soluzione positiva della malattia.

E' questo un campo dove l'associazione di terapie convenzionali e complementari appare di particolare prospettiva di utilizzo e dove strumenti di valutazione divengono centrali per la scelta migliore.

La discussione che sottosta a tutti gli interventi dell'OMS e delle strutture di ricerca come Cochrane potrebbe forse risolversi se si cercasse un campo di osservazioni possibili ed accettabili dai sostenitori delle diverse opinioni mediche.

Il presupposto di collaborazione, difficilmente ottenibile se si pensa ad una collaborazione paritaria, può però essere raggiunto dai sostenitori delle medicine complementari "pescando" insiemi di osservazioni sicuramente "ufficiali" e scegliendo le osservazioni meno discutibili anche se per ottenere ciò occorre rinunciare almeno in parte ai presupposti ideologici propri del tipo di medicina praticata.

Se questo atteggiamento è facilmente sostenibile in presenza delle osservazioni "obiettive" cioè sostenute da esami strumentali sta divenendo interessante anche per quelle che, strutturalmente, obiettive non sono.

 

2 - WHOQOL-100 e il manifesto metodologico del NIH

L’iniziativa cui facciamo cenno parte dal riconoscimento della necessità, ribadita nelle risoluzioni prese a vari livelli dall’O.M.S. (vedi Consultation on Acupuncture, Milano, novembre ‘96) che nei paesi in cui la medicina moderna costituisce la base delle cure mediche, l’uso etico delle medicine complementari debba essere sostenuto da evidenze della loro efficacia valutata attraverso studi clinici controllati.

Ciò ha posto la necessità di strumenti di validazione che, da un lato, consentano di ottenere risultati comparabili a quelli della medicina convenzionale e, dall’altro, siano rispettosi delle particolarità concettuali e applicative delle medicine complementari.

Sul fatto che i metodi di ricerca convenzionali, quali i lavori controllati attraverso la randomizzazione (RCT = randomized controlled trial), possano essere usati per valutare l’efficacia delle terapie complementari esistono, attualmente, forti perplessità.

Si possono riconoscere due posizioni abbastanza contrastanti: una è riscontrabile nel lavoro del W.H.O. mentre l’altra è quella riassunta nel "Manifesto Metodologico" elaborato dal NIH (National Institute of Health) Working Group on Quantitative Methods in Alternative Medicine.

Il W.H.O., con l’elaborazione del WHOQOL-100, nel ‘95, ha prodotto un sistema di valutazione dell’im-patto delle terapie complementari sulla qualità della vita che ha la caratteristica di poter determinare l’effetto di una terapia avendo come criterio di valutazione della stessa il suo impatto sul paziente, considerato nella sua globalità psico-fisica, piuttosto che l’impatto sulla malattia. Così, ad es., la radioterapia e la chirurgia radicale possono avere una efficacia analoga nei confronti di un ben determinato tipo di cancro, ma se uno dei due metodi determinasse una qualità di vita del paziente significativamente migliore, quello dovrebbe essere preferito.

L’iniziativa del W.H.O. per accertare la qualità di vita è sorta per diverse ragioni. Tra queste la più importante è stata senz’altro quella di allargare i criteri per una misurazione dello stato di salute, che andassero al di là dei tradizionali indicatori come la mortalità e la morbilità, per includere misurazioni dell’impatto del disturbo, del deterioramento dell’attività quotidiana e del comportamento, in modo da valutare l’impatto della malattia sulla qualità della vita. In secondo luogo, i diversi metodi per la misurazione dello stato di salute elaborati negli USA e nell’UK hanno prodotto strumenti il cui utilizzo, in contesti ambientali diversi, è risultato ampiamente insoddisfacente. In terzo luogo, il modello sempre più meccanicistico della medicina, incentrata solo sull’eradicazione della malattia e dei sintomi, ha rinforzato la necessità dell’introduzione di un elemento umanistico nella cura della salute.

Ricercando, quindi, una valutazione della qualità della vita nella terapia, l’attenzione viene maggior-mente focalizzata su una ricerca terapeutica e un’aspettativa di salute da parte del paziente più globale di quanto normalmente avvenga.

L’iniziativa del W.H.O. per sviluppare un accertamento della qualità di vita sorge, quindi, come momento di sintesi delle necessità di uno strumento di misurazione internazionale della qualità di vita e del mandato per una promozione di un approccio globale alla salute e alla sua cura.

 

Schema del WHOQOL-100
Sfere Aspetti
Fisica Dolore sconforto

Energia, debolezza

Sonno, riposo

Psicologica Sentimenti positivi

Pensiero, apprendimento, concentrazione

Stima di se stessi

Immagine corporea, esteriorità

Sentimenti negativi

Livello di indipendenza Mobilità

Attività quotidiane

Dipendenza dai trattamenti e dalle cure

Capacità di lavoro

Relazioni sociali Relazioni interpersonali

Assistenza sociale

Attività sessuale

Ambientale Sicurezza fisica

Ambiente domestico

Risorse finanziarie

Salute e terapia: validità e qualità

Disponibilità ad acquisire nuove informazioni e abilità

Partecipazione e disponibilità allo svago e al tempo libero

Ambiente fisico (inquinamento, rumore, traffico, clima)

Trasporti

Spirituale Spiritualità/religione/fede personale
 

In contrapposizione a ciò, vi è peraltro il dibattito interno ad alcuni ambienti scientifici in cui numerosi studiosi, pur essendo molto guardinghi nei confronti degli RCT e di "approcci valutativi troppo riduzionisti", ritengono che le terapie alternative non siano così inusuali da non poter essere studiate coi metodi esistenti.

Su questo problema una delle posizioni più riassuntive e prestigiose è stata espressa dal NIH (National Institute of Health) Working Group on Quantitative Methods in Alternative Medicine che ha elaborato una sorta di Manifesto Metodologico, il cui scopo è quello di focalizzare problemi e risoluzioni nell’affronto della valutazione delle CAM (medicine complementari e alternative), indicando una serie di linee guida metodologiche che dovrebbero essere tenute in considerazione da chiunque voglia impegnarsi nel campo di ricerca delle CAM. In questo documento, contrariamente alle affermazioni di molti ricercatori e medici che si occupano di CAM, si sottolinea la validità dei metodi di ricerca e delle procedure analitiche dei metodi di indagine esistenti anche nel confronto della sostanziale non convenzionalità sia delle premesse che delle conclusioni terapeutiche delle CAM. Il documento si divide sostanzialmente in due parti: una di descrizione delle principali problematiche metodologiche e una di linee guida e raccomandazioni. Qui di seguito riassumiamo i contenuti di queste parti.

 

Le principali problematiche metodologiche rispecchiano il tipo di risultati, spesso raggiunti dai medici non convenzionali, che affermano che le loro terapie o i meccanismi proposti sono così inusuali da non poter essere valutati o investigati attraverso mezzi normali o esistenti. Essi possono essere condensate nei seguenti punti:

1. Interventi complessi individualizzati

2. Individualizzazione degli effetti terapeutici

3. Focalizzazione degli effetti vs. disturbi sistemici

4. Corrispondenze sistemiche e correlazioni

5. Effetti a lungo termine

6. Riconcettualizzazione dell'organismo umano

7. Eziologie multifattoriali

Il manifesto metodologico

E’ costituito da una lista di sette linee guida e raccomandazioni ribattezzato dal Working Group on Quantitative Methods in Alternative Medicine: "Manifesto metodologico":

1) Problematiche relative a studi diversi richiedono diversi approcci metodologici e analitici.

2) I ricercatori dovrebbero usare lo schema di ricerca più forte possibile e i procedimenti statistici più appropriati per le problematiche sollevate da uno studio dato.

Un tipo particolare di intervento può non prestarsi alle convenzioni usualmente considerate essere il non plus ultra della ricerca medica (il double-blind, gli studi controllati vs. placebo RCT) ma altri progetti di ricerca e approcci statistici possono essere appropriati per rispondere alla problematica dello studio in questione.

3) I trials clinici non sono gli unici studi possibili.

4) I risultati degli studi di osservazione possono informare i progetti dei trials di intervento.

Infatti, nuove conoscenze mediche sono molto più spesso ottenute con l’osservazione sia attraverso l’analisi prospettica fornita da studi di massa che attraverso lo studio di una semplice serie di casi.

5) Terapie alternative, sì; risultati alternativi, no.

Come altro esempio, si potrebbe condurre un trial clinico di agopuntura o di fitoterapia senza tenere conto di come sia multifattoriale l’intervento né di come sia inusuale il meccanismo di guarigione proposto, a patto che ci sia accordo nell’utilizzare la misurazione di un risultato che è accettata senza controversie nel mondo della ricerca biomedica. Questo è, essenzialmente, analogo al testaggio degli agenti farmacologici, i cui meccanismi di azione non siano ancora conosciuti o compresi.

6) Le procedure quantitative esistenti sono in genere adeguate alla ricerca sulle terapie alternative e sui sistemi medici complementari.

7) I sistemi medici complessi complementari possono essere studiati come "gestalts".

Uno studio dell’efficacia di questo sistema terapeutico potrebbe considerare la "terapia macrobiotica" come il trattamento e non un elemento particolare di un intervento globale.

Infine il Working Group on Quantitative Methods in Alternative Medicine ha ritenuto di sottolineare come la randomizzazione sia una metodica più importante del doppio cieco per gli studi sull’efficacia terapeutica, a causa dell’importanza costituita dalla necessità di campioni su cui gli studi e i risultati siano rappresentativi e generalizzabili

 

3 - Debolezza dei trial clinici randomizzati

Per affrontare il problema della critica allo strumento principe della ricerca clinica e per documentare l’effetto (positivo o negativo) di una qualsiasi terapia ci affidiamo al recente magistrale lavoro di Th. Pincus.

Poichè il RCT si appoggia sulla cartella clinica standard, occorre osservare che questa è uno strumento inadeguato perché adatto a rilevare gli ‘atti’ dei professionisti piuttosto che la loro utilità o dannosità e non disegnato per valutare l’efficacia di un trattamento a lungo termine.

Questi limiti sono attribuibili almeno in parte all’evoluzione della cartella medica nell’ambito del ‘modello biomedico’, il paradigma fondamentale della medicina del ventesimo secolo (Engel, 1977, Holman, 1976, Sagan, 1987).

In questo modello, in breve, la storia del paziente è considerata un elemento ‘soggettivo’ e come tale ‘non scientifico’ salvo nei casi in cui fornisca dati e documenti quantitativi (analisi di laboratorio, radiografie, ecc.) ad alto contenuto tecnologico, considerati allora ‘oggettivi’ perché rispondenti a precisi e definiti criteri standard, unici riferimenti di valore e affidabili per monitorare e prevedere l’andamento della patologia. Le condizioni psicologiche del paziente e altri sintomi di benessere o malessere, e perfino il dolore, sono spesso considerati di secondaria importanza.

La nascita dei trial randomizzati controllati

Per superare questi limiti si sono ideati e sviluppati i trial clinici randomizzati e controllati che, fin dai primi anni ‘50 (Daniels & Hill, 1952), sono considerati il metodo ottimale per valutare l’efficacia di qualsiasi intervento.

Di fatto i RCT sono efficaci nel valutare trattamenti in situazioni acute che evolvono in un breve periodo di tempo (con end-point facilmente determinabile) e per documentare gli effetti collaterali dei farmaci. Tuttavia, nei problemi predominanti della nostra epoca, cioè nello studio delle patologie croniche caratterizzate da situazioni che evolvono a medio e lungo termine (end-point non facilmente determinabile) e che richiedono ‘controllo’, ‘cura’ e ‘palliazione’, i RCT sono strumenti inadeguati.

Le procedure rigide e limitanti imposte dai criteri teorici che ispirano questi studi possono addirittura, in taluni casi, non consentire o compromettere la cura ottimale del paziente nel lungo periodo.

Per esempio, studi eseguiti su pazienti affetti da artrite reumatoide hanno dimostrato che farmaci considerati efficaci nel trattamento di questa patologia a breve termine, e gravati da notevole tossicità e effetti collaterali (metotrexate, D-penicillamina, sulfasalazina, ecc.) che a volte non permettono la prosecuzione della terapia, mostrano una efficacia uguale, se non ridotta, a lungo termine rispetto a farmaci considerati poco efficaci in trials clinici a breve termine.

Limiti dei trial clinici randomizzati controllati

I limiti dell’impiego dei trial clinici nel mondo ‘reale’ possono essere distinti in due categorie:

a) limiti derivanti dall’impostazione ‘pragmatica’ della moderna ricerca clinica.

b) limiti ‘intrinseci’ alla metodologia

a) Sei limiti pragmatici dei trial clinici randomizzati

1. Criteri di esclusione nei trial clinici

In ogni trial clinico esistono dei "criteri di esclusione" che limitano l’arruolamento dei pazienti per ridurre al minimo l’interferenza di variabili che possono inquinare i risultati.

Ne consegue che molti interventi sono testati su una minoranza di pazienti.

I criteri di esclusione sono in pratica determinati dall’orientamento del ricercatore, ‘esigente’ (alto numero di criteri di esclusione) o ‘pratico’ (basso numero di criteri di esclusione).

2. Il relativamente breve periodo di osservazione della maggior parte dei trial clinici nelle malattie croniche

Nelle malattie acute un periodo di osservazione di pochi mesi può essere sufficiente a riconoscere l’efficacia del trattamento e a individuarne i possibili effetti collaterali. Tuttavia, nelle malattie croniche, pochi mesi, un anno o pochi anni (il tempo di osservazione della maggior parte dei trial clinici) è un tempo troppo breve per valutare correttamente l’effettiva efficacia di un trattamento.

3. Dosaggi standard imposti dal protocollo e terapie concomitanti

Molti protocolli prevedono dosaggi inflessibili per garantire un criterio ‘scientifico’.

Un paziente che lamenta severi disturbi gastrointestinali provocati dal farmaco ritenuto efficace, viene allontanato dallo studio anche se spesso, nella pratica quotidiana, una riduzione del dosaggio consente di proseguire la terapia con efficacia e senza effetti collaterali [il concetto della personalizzazione della terapia - la ricerca non del ‘massimo dosaggio’ possibile ma del massimo dosaggio possibile per quel paziente, o meglio del dosaggio più adeguato...].

Per questi motivi, in molti trial clinici con un disegno troppo ’esigente’, può esserci il rischio di sottostimare l’efficacia di un farmaco e sovrastimare la tossicità. Il comportamento clinico imposto da protocolli inflessibili non riflette la pratica clinica quotidiana.

4. L’utilizzo di markers che, in molti casi, non sono idonei a cogliere il reale andamento della patologia

In un trial di uno o pochi anni non è possibile valutare gli esiti , a lungo termine, di una malattia cronica, come la morte o l’inabilità.

Spesso molti dei markers utilizzati nei trial su malattie croniche, non si rivelano indicatori affidabili dell’andamento futuro della patologia nel suo complesso e possono quindi non essere una buona guida per il raggiungimento delle reali finalità pratiche dell’intervento medico sul lungo periodo.

5. Risultati significativi sul piano statistico, non lo sono necessariamente su quello clinico e vice versa

L’efficacia, in un trial clinico, è valutata in base alla significatività statistica della differenza dei risultati del trattamento in studio versus placebo o trattamenti differenti. Tuttavia, risultati significativi sul piano statistico non lo sono necessariamente su quello clinico.

D’altra parte il bisogno di grandi numeri per avere una rilevanza statistica, pone dei grossi problemi per esempio nelle patologie rare.

6. Tendenza a ignorare variabili importanti, non previste dal disegno della ricerca, ma che tuttavia ne condizionano i risultati

Molte conoscenze in medicina derivano da serendipiche osservazioni non riconosciute nel disegno originario della ricerca. In molti trial clinici, le variabili legate ai pazienti condizionano i risultati molto di più del trattamento (o del placebo) per il quale i pazienti sono stati randomizzati, ma questa informazione emergente tende ad essere ignorata o non enfatizzata.

b) Quattro limiti intrinseci

1. Il disegno di un trial clinico può influenzarne grandemente i risultati, nonostante la presenza di un gruppo di controllo

Il disegno di un trial clinico randomizzato può enormemente influenzare la probabilità che un intervento si riveli o no più efficace del placebo. Il punto è che il trial clinico non è automaticamente neutrale e l’esistenza di un gruppo di controllo non garantisce l’eliminazione dei bias, che sono intrinseci al disegno di qualsiasi studio.

2. I risultati dei trial clinici sono riferiti generalmente ai gruppi di pazienti e ignorano le variazioni individuali

Se consideriamo per es. un tipico trial clinico nel quale il 60% dei pazienti ha risposto favorevolmente al farmaco A, il 20% al farmaco B e il 20% indifferentemente a entrambi, le conclusioni tendono ad essere che il farmaco A è il più efficace ‘per tutti’ i pazienti e non ‘per la maggior parte’.

Nei prontuari farmaceutici di molti ospedali (allestiti seguendo criteri economico-statistici) questo è anche il criterio di scelta del ‘miglior’ farmaco da avere disponibile ‘per tutti’ i pazienti, senza tener conto del fatto che per molti il miglior farmaco è sicuramente un altro.

3. L’interpretazione degli effetti collaterali non è standardizzata e introduce bias nell’interpretazione dei risultati di qualsiasi trial clinico

4. Le esigenze intrinseche del trial clinico portano inevitabilmente a una deformazione dell’effetto placebo perché richiedono che il paziente sia informato del fatto che potrebbe non ricevere la ‘migliore’ terapia

 

I pazienti che partecipano a un trial clinico sono in genere lo 0.001% dei pazienti che verranno sottoposti al trattamento.

Inoltre i criteri di esclusione comportano che la popolazione di pazienti che partecipano allo studio non può essere rappresentativa dell’universo dei pazienti che soffrono di quella patologia e che comunque saranno sottoposti a quel trattamento.

D’altra parte una serie di limitazioni sono anche imposte dall’elevatissimo costo di questa genere di studi.

Ad ogni modo va comunque rilevata l’importanza e il valore dei RCT in quanto in grado di documentare la sicurezza, o l’assenza di sicurezza, in contrasto con l’efficacia.

 

4 - Debolezza dei modelli di metaanalisi

In stretta correlazione con i trials clinici più o meno randomizzati, anche lo sfruttamento di metodi e modelli statistici di recente acquisizione (metà-fine anni ‘80) non porta a risultati definitivamente soddisfacenti: basti citare per tutti i metodi di metaanalisi. Essi infatti mostrano molto spesso limiti tali da ridurre molto la loro applicabilità. La metaanalisi infatti raggiunge risultati significativi quando si programmino rilevazioni diverse, per esempio per territorio, e poi si raggruppino per qualche aspetto particolare della ricerca.

Ma se, come ci si sarebbe aspettato, questo avrebbe dovuto essere lo strumento che permette di accorpare ricerche non coordinate svolte approssimativamente sullo stesso argomento, allora l’efficacia del risultato è quanto meno opinabile: gli indici che si vanno costruendo infatti perdono rapidamente di specificità.

Il settore dove la meta analisi si avvantaggia notevolmente è quello delle ricerche multicentriche svolte in luoghi diversi ma con lo stesso protocollo di raccolta dei dati: in questo caso il metodo garantisce il raggiungimento di informazioni che, in caso di provata significatività, hanno un valore assoluto accet-tato dalla comunità scientifica ufficiale come testimonia il lavoro di Linde e coll. sull’effetto di farmaci omeopatici pubblicato su Lancet di settembre 1997.

 

5 - I Patient Self-Report Questionnaires

Le varie difficoltà fin qui evidenziate possono essere superate attraverso l’utilizzo computerizzato di questionari auto-compilati (self-report questionnaires) ad ogni incontro col paziente che consentono di monitorare l’andamento della patologia e l’efficacia della terapia a lungo termine e di soddisfare le responsabilità del medico sui piani intellettuale, professionale ed etico.

Tali questionari possono essere utilizzati per valutare indifferentemente l’efficacia di trattamenti medici convenzionali, complementari o integrati, e sono uno strumento idoneo a valutare l’efficacia dell’intervento terapeutico sulla persona in senso globale.

E’ possibile superare in gran parte le difficoltà (alto costo) e i limiti (come sopra esposti) dei trial clinici senza abbandonare la speranza di poter disporre di uno strumento di verifica dell’efficacia di un trattamento, nella medicina del quotidiano, da parte di singoli professionisti.

E’ ancora Pincus ad affermare che nel modello biomedico si attribuisce l’appellativo di ‘scientifico’ per lo più solo a procedure ad alta tecnologia o a RCT controllati, ma non alla comune medicina clinica.

Tuttavia ogni studio scientifico è caratterizzato da parecchi prerequisiti: un’ipotesi, un protocollo per la raccolta standardizzata di dati quantitativi, un metodo per registrare minuziosamente le informazioni, un criterio definito per la valutazione delle analisi, e tecniche per l’analisi dei dati.

Ogni singolo incontro clinico, nel quale non si sa quale potrà essere la ‘migliore’ terapia, può essere visto come un terreno fertile per la ricerca scientifica.

Pertanto ogni sforzo indirizzato a raccogliere informazioni utili a definire il reale andamento del paziente, è da considerare una legittima, e perfino necessaria, ricerca scientifica.

La proposta è di sottoporre al paziente, ad ogni incontro, un semplice questionario da autocompilare che sarà inserito in un apposito database.

1. Ipotesi: l’ipotesi è che gli interventi proposti ed effettuati dall’operatore sanitario sono efficaci e poco dannosi relativamente alla condizione in trattamento.

2. Protocollo: consiste nella raccolta standardizzata di dati attraverso un questionario da autocompilare somministrato al paziente. Tale questionario può anche prevedere la raccolta di dati di laboratorio, radiografie, altri parametri fisiologici, e questionari aggiuntivi.

3. Metodo di raccolta dati: il metodo consiste nel somministrare i questionari consecutivamente ad ogni paziente che si presenta per il problema che si è deciso di indagare; ciò garantisce la non selezione dei pazienti.

4. Risultato: deve essere definito all’inizio del periodo di osservazione e può riguardare i tradizionali

indicatori come la morte, la pressione sanguigna, la riduzione della tumefazione articolare, fino a indicatori biopsicosociali come cambiamenti di tipo funzionale, dolore, depressione, impotenza, ottimismo, assistenza, stress.

5. Tecniche di analisi: dipendono dal tipo di database, ma potrebbe non essere necessario il computer. La necessità di tale strumento dipende dal tipo di questionari utilizzati, ovvero dalla mole di dati in essi presenti, e questo dipende dal tipo di problema che si è deciso di studiare.

Un questionario di questo tipo può inoltre costituire un prezioso strumento di "controllo di qualità" dell’attività professionale. Il suo costo è approssimativamente pari all’1-3% del costo complessivo della cura e trova la sua piena giustificazione nell’ambito della "responsabilità professionale" del medico di fronte a se stesso e ai suoi pazienti.

Per queste ragioni sono quindi da considerare parte integrante della cura.

 

6. Analisi comparativa di scale soggettive

Abbiamo visto che anche a livello così alto si prendono in considerazione in quanto utili e convenienti metodiche di rilevazione basate in pratica su scale soggettive, anche se non vengono proposti modelli operativi peraltro già ampiamente diffusi.

Nella costruzione delle varie scale di natura soggettiva i diversi ricercatori hanno tenuto in conto, dando volta a volta peso diverso alle informazioni che seguono, le seguenti categorie di rilevazione, tutte in connessione con una scala soggettiva (e perciostesso facilmente influenzabile dallo stato psichico del paziente interrogato e/o dell'inquirente):

- rilevazione di parametri apparentemente obiettivabili anche dal paziente più influenzato (mobilità, capacità lavorativa, alimentazione, cura della persona, sonno, ecc.)

- rilevazione delle reazioni del paziente allo stato di "malattia"; si tratta dei dati più direttamente influenzati dallo stato del paziente e dove, se si vuol dare qualche informazione degna di una certa attendibilità occorre non richiedere valutazioni assolute, ma solo relative allo stato precedente (se il paziente è cronico, questo comunque permette di costruire una storia).

- rilevazione di parametri intermedi relativi cioè a come il paziente recepisce il proprio stato in modo particolare relativamente ai parametri esterni (es.: lavora ma ha perduto la soddisfazione del lavoro).

Una serie di dati di questo genere, non può non essere recepita indipendentemente dall'approccio ideologico al malato e, pertanto, dovrebbero essere universalmente acquisibili.

La numerosità e la tipologia delle scale soggettive per uso clinico è ben nota: si tratta sostanzialmente di tentativi più o meno riusciti di codificare l’impressione del medico e/o del paziente in reazione ad un trattamento ovvero di descrivere una situazione di fatto.

E’ quindi piuttosto arduo raccogliere tutto il materiale disponibile a meno che si limiti la ricerca ad esempio a considerare una particolare patologia.

E’ quello che abbiamo fatto, giovandoci del notevole lavoro di raccolta e di riordino dei dati svolto da M. Tamburini per ciò che attiene alle stime degli effetti di trattamento nella malattia tumorale.

Sono stati valutati i seguenti metodi:

KPS: proposto da Karnofsky nel 1948, è di gran lunga il più noto dei test in uso anche se, attualmente, non viene usato per la misurazione dell’integrità funzionale, dei sintomi e/o segni della malattia e della tossicità del trattamento, ma più genericamente per la valutazione della qualità di vita. Usa un metodo di valutazione a saturazione (il massimo benessere è 100) e questo può essere in più di un caso

un limite tecnico.

QL-Index: proposto da Spitzer nel 1981, propone una misurazione globale della qualità di vita nel paziente oncologico. Le scale usate nelle cinque aree di attività dell’esaminato non sono il migliore adattamento alle osservazioni che seguiranno. Mantiene comunque il merito di aver proposto una valutazione mediata e perciò più attendibile dello stato del paziente legato appunto alla qualità di vita.

RSCL: è il più recente dei metodi esaminati in quanto proposto nel 1990 con lo scopo specifico di misurare la qualità di vita di pazienti oncologici. Si giova delle conoscenze acquisite nel frattempo e si presenta sicuramente come uno strumento molto innovativo. Esso però risulta ancora in studio per alcuni aspetti metodologici e somministrativi.

SCI: proposto da Tamburini nel 1991 ha come scopo principale la misura istantanea del dolore durante una chemioterapia ed è basato sull’idea di conteggiare il numero di giorni caratterizzati dal dolore. Il metodo mette a frutto brillantemente tutte le pregresse conoscenze di questionari analoghi e risulta di facile ed immediata somministrazione

SDS: destinato a valutare il grado di sofferenza in relazione ai sintomi nel pazienti oncologici indagando su 13 aspetti connessi valutati appunto con scala ordinale a 5 punti. Autosomministrabile, il test ha in comune con molti altri il problema del processo di apprendimento del paziente che può influire molto nella somministrazione ripetuta.

TIQ: concepito per valutare gli effetti della terapia in malati terminali valuta la qualità di vita in 4 aree per mezzo di 36 item + 1 di carattere generale. Il test risponde abbastanza bene all’obiettivo proposto e può essere somministrato da personale non specializzato.

VAS/LASA : si tratta di strumenti di uso generale diffusi ormai da molti anni negli ambienti della medicina e della psicologia; sottoposti a moltissimi studi di valutazione anche in comparazione con altri strumenti di analisi (scale verbali e numeriche). L’efficacia di questi strumenti è tale da convincere a proseguire il loro uso pur nella consapevolezza che non si tratta certo di strumenti risolutivi.

Come è facile osservare i vari metodi sono raggruppabili in tre tipologie:

- valutazione immediata di uno specifico stato di malessere (tipicamente il dolore)

- valutazione globale di stati dolorosi

- identificazione più o meno precisa di una condizione globale del paziente estesa ad aspetti anche sociali.

La prima categoria di metodi, in quanto del tutto aspecifica, può essere utilizzata in tutte le situazioni dolorose (classica è l’applicazione delle scale visive nel dolore postoperatorio) ma è facilmente contestabile in quanto, oltre ad essere fortemente dipendente dal tipo di soggetto osservato e dalla sua componente psichica, non risulterà ragionevolmente obiettivabile nemmeno con l’uso di raffinati strumenti di analisi statistica.

La seconda categoria ancora mostra un’utilizzazione tale da imporre, per ottenere risultati in qualche maniera imputabili alla terapia, una somministrazione ripetuta.

Nella terza categoria i metodi tentano, almeno, di identificare delle situazioni obiettive di disagio con la possibilità aggiuntiva di confrontare lo stato di due soggetti.

Sono comunque e in ogni caso evidenti le ragioni di incertezza nell’uso longitudinale e trasversale di questi metodi attribuibili classicamente a

- variabilità dei soggetti osservati,

- variabilità nel tempo del singolo soggetto,

- influenza esercitata (anche inconsciamente) dal somministratore,

- effetto del processo di apprendimento nella somministrazione ripetuta,

- limiti della quantificazione della osservazione.

 

7. Debolezza degli strumenti soggettivi

Il riferimento ora ricordato ad insiemi di elementi apparentemente osservabili con precisione salvo, poi, scoprirne la forte dipendenza dalle condizioni ambientali e/o psicologiche appare il punto di riferimento ineliminabile.

E’ bene comunque sottolinearlo in quanto questa è la ragione della debolezza strutturale di tutti questi metodi di osservazione.

Lo sforzo che s’ha da fare è dunque quello di sfruttare al meglio e nei campi più adatti lo strumento così com’è. L’unica attenzione da usare per garantire il miglior risultato possibile è quella di delimitare al meglio gli scopi dell’indagine ed il campo di osservazione.

Nell’ambito della critica a questi strumenti, comunque troppo precipitosamente demonizzati da ricercatori presuntuosi soprattutto se la ricerca avviene per esaminare prodotti sgraditi, vale la pena di mettere in luce uno degli elementi di debolezza: la tipologia di scala.

L’uso delle scale ordinali infatti parte dal tentativo di superare i rischi di grave imprecisione nei quesiti a risposta binaria; gli atteggiamenti seguiti sono sostanzialmente due: o si lascia l’interrogato libero di scegliere una qualsiasi alternativa all’interno di un intervallo ben specificato oppure lo si invita a scegliere esclusivamente tra 3 o più alternative esplicitamente e definitivamente indicate.

Senza approfondire i termini statistici della discussione val la pena qui di osservare che l’apparente maggiore precisione della prima alternativa svanisce rapidamente quando gli effetti indotti da una tale scelta si traducono nella pratica impossibilità di confrontare risposte di soggetti diversi.

Peraltro nella seconda alternativa la discussione verte sostanzialmente sul numero e la denominazione delle scelte da sottoporre al paziente: troppe scelte implicano scarsa confrontabilità, poche scelte implicano scarsa informazione, indicazioni imprecise nelle scelte comportano infine la perdita dell’informazione.

Pur nell’ambito della debolezza di questo strumento di indagine ci pare di poter dare la preferenza a quei metodi che, con uno sforzo preliminare assai elevato, abbiano identificato questionari a sostanziale risposta binaria; dove cioè le situazioni indagate sono identificate con la massima precisione possibile e pertanto si possano porre quesiti, magari numerosi, ma tutti a risposta si/no.

 

8 - Suggerimenti per la costruzione di uno strumento di indagine

Sulla strada degli indici proposti da Karnofsky e Spitzer riteniamo di poter confermare, nel caso della valutazione dell’effetto terapeutico di un trattamento, la generale linea di comportamento di lasciare ad un modello interpretativo il compito di costruire la scala valutativa che rimarrà sempre soggettiva e di concentrare l’attenzione sul massimo numero possibile di elementi da raccogliere, preferibilmente in forma di fatto binaria.

Si osservi per inciso che il porre domande a risposta chiusa da scegliere in modo esclusivo fra quelle presentate equivale di fatto a porre quesiti in forma binaria: in tal modo a ciascuno degli elementi si assegna il massimo di credibilità possibile concedendo al più la facoltà di non rispondere (si/no/non so).

E’ il modello logico-matematico che fonde questi elementi per ottenere l’indice: il modello può essere modificato (evidentemente non all’interno di una singola ricerca) in modo da poter essere adattato al meglio alla specifica ricerca.

Affinché non si pensi ad un progetto di sistematica e deprecabile manipolazione di dati, val solo la pena di ricordare che, se si confrontano due differenti patologie, il peso di un dolore avvertito in una particolare sede debba poter avere ovviamente un peso diversificato.

L’individuazione poi dei pesi da assegnare alle singole risposte non venga eseguita a sua volta con scelte soggettive e spesso arbitrarie. L’esecuzione di un buon questionario "pilota" consente spesso con strumenti statistici relativamente semplici come sono i modelli regressivi di individuare il peso più attendibile (anche se meno soggettivo).

 

9 - Conclusioni

La considerazione di strumenti di valutazione dell’effetto terapeutico di qualsiasi principio attivo o trattamento si presta dunque ad una sequenza di critiche tali da indurre a ritenere che non vi sia uno strumento "principe" di valutazione. Probabilmente, come del resto accade frequentemente in matematica quando lo scienziato si trova a dover maneggiare il "caso", una maggiore sicurezza non si ottiene se non dall’uso concordato di strumenti che partono da presupposti di osservazione differenti (per es.: metodi oggettivi e soggettivi).

E’ certo che un approccio di questo genere appare in qualche aspetto un po' rivoluzionario in quanto va ad alterare scale di valori radicate in un secolo di pensiero scientifico "positivista". E’ pure vero che le critiche portate ai vari strumenti sono partite da una consistente raccolta bibliografica non schierata in alcun campo della medicina e, più in generale, della metodologia scientifica.

Mantenendosi fuori da qualsiasi contrapposizione ideologica, si può dunque concludere che l’uso di scale soggettive nella valutazione delle condizioni del paziente è consigliabile come importante complemento informativo in ogni ricerca clinica tendente a stabilire la validità di un trattamento terapeutico.

 

 

BIBLIOGRAFIA
 

 

Bertalanffy L.von 1969, General System Theory (Tr. it.: Teoria generale dei sistemi, Mondadori, Milano 1983)

Capra F. 1982, The Turning Point, Simon and Schuster, New York (Tr. it.: Il punto di svolta, Feltrinelli, Milano 1984)

Capra F. 1996, The Web of Life, Doubleday-Anchor Book, New York (Tr.it.: La rete della vita, Rizzoli, Milano 1997)

Daniels M & Hill AB. 1952, "Chemotherapy of Pulmonary Tuberculosis in Young Adults: An Analysis of the Combined Results of Three Medical Research Council Trials", Br. Med. J., 1:1, 162-8

Delattre P. 1982, "Théorie des systèmes et épistémologie", in La notion de système dans les sciences contemporaines, tomo II, Epistémologies, Librairie de l’Université, Aix-en-Provence (Tr. it.: Teoria dei sistemi ed epistemologia, Einaudi, Torino 1984)

Division of Mental Health World Health Organization Geneva 1995. "Field Trial WHOQOL-100, Facet Definitions and Questions" MNH/PSF/95.1.B

Engel GL. 1977, "The Need for a New Medical Model: A Challenge for Biomedicine", Science, 196: 129-36

Holman HR. 1976, "The ‘Excellence’ Deception in Medicine", Hosp. Pract. 11: 11-21

Levin S., Glass T., Kushi L., Schuck J., Steele L., Jonas W. 1996. "Quantitative Methods in Research on Complementary and Alternative Medicine: a Methodological Manifesto" Medical Care (inpress)

Linde K. et Al. 1977, "Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects? A meta-analysis of placebo-controlled trials", Lancet, 350: 834-43

Miller J.G. 1978, La teoria generale dei sistemi viventi, Franco Angeli, Milano (Testo, tradotto da Angelo Beretta, rielaborato dall’Autore sulla base di tre articoli apparsi nel 1965 sulla rivista Behavioral Science)

Morin E. 1980, La vie de la vie, Editions du Seuil, Paris (Tr. it.: La vita della vita, Feltrinelli, Milano 1987)

O.M.S. - Ginevra 1983, Traditional medicine and Health Care Coverage. A Reader Health Administrators and Practitioners (Tr.it.: Il ruolo delle medicine tradizionali nel sistema sanitario. Valutazioni scientifiche e antropologiche, Edizioni RED, 1984)

Pincus T. 1997. "Analyzing Long-term Outcomes of Clinical Care without Randomized Controlled Clinical Trials: The Consecutive Patient Questionnaire Database", Advances - The Journal of Mind-Body Health, 13: 2, 3-32

Ricciuti A. 1990, "La validazione scientifica: verso il riconoscimento di differenti razionalità?", Atti del Convegno Medicine Diverse: situazione e prospettive in Italia, Milano, Società Umanitaria, 23-24-marzo

Sagan LA. 1987, The Health of Nations: True Causes of Sickness and Well-being, NY: Basic Books

Tamburini M. 1997, Quality of Life Assessment in Medicine, CD-ROM per Windows, Glamm Interactive, Milano

The WHOQOL Group 1995. "The World Health Organization Quality of Life Assessment (WHOQOL): Position Paper from the World Health Organization", Soc. Sci. Med. 41: 10, 1403-1409