M E D I C I N E "D I V E R S E"

Situazione e prospettive in Italia

 

 

Milano, 23-24 Marzo 1990

Società Umanitaria

 

Convegno promosso dall'Assessorato alla Sanità del Comune di Milano e organizzato dall'Istituto per la Ricerca Sociale di Milano in collaborazione con le riviste Natom e Riza Psicosomatica

  

 

Alberto Ricciuti

La validazione scientifica: verso il riconoscimento di differenti razionalità?

 

  

Considerazioni preliminari

 

L'emergente esigenza in medicina di creare situazioni atte a far interagire conoscenze e competenze derivate da diversi ambiti culturali, oltre a scaturire come naturale conseguenza dall'orientamento sistemico emergente nella cultura contemporanea, è stata di recente rilevata e caldeggiata dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità in un rapporto su Il ruolo delle medicine tradizionali nel sistema sanitario [1].

Halfdan Mahaler, direttore generale dell'O.M.S., scrive infatti nella sua "Presentazione dell'opera" che per raggiungere l'ambizioso obiettivo popolarmente noto come "Salute per tutti entro il 2000"

"occorrerà servirsi di tutti i metodi che possano essere utili e mobilitare tutte le risorse disponibili [...] Questo indirizzo è stato raccomandato dalla Conferenza internazionale sugli interventi sanitari di base, tenuta ad Alma Ata nel 1978. La Dichiarazione di Alma Ata sugli interventi sanitari di base faceva riferimento a una varietà di operatori sanitari [...] Dal 1976, anno in cui la medicina tradizionale fu inclusa nei programmi dell'O.M.S., il fossato che separa metodi tradizionali e moderni sembra essere stato in parte colmato. Molti medici moderni dimostrano ora un interesse genuino per le pratiche tradizionali e un numero crescente fra coloro che applicano sistemi tradizionali, indigeni o alternativi, comincia ad accettare e ad usare parte della tecnologia moderna".

e così conclude, riferendosi ai contenuti del testo:

"Nutriamo la speranza che di queste informazioni possano far uso i governi nella scelta dei modi su cui basare la loro strategia sanitaria. Il libro vuole anche farci capire meglio perchè la gente accetta o rifiuta certe pratiche, e perchè si serve oppure non si serve di certe risorse sanitarie disponibili. Ciò può aiutarci a programmare gli interventi sanitari nazionali e i corsi di formazione professionale in modo realistico".

Abbiamo dedicato un certo spazio alle parole di Halfdan Mahaler perchè riteniamo che bene esprimano l'atteggiamento con cui accostarsi a questa problematica.

Infatti se lo studio e il confronto con altre grandi linee di pensiero è indispensabile per la nostra crescita personale e sociale e per il nostro arricchimento culturale, è altrettanto doveroso e indispensabile recuperare l'unità e l'integrazione fra le diverse tradizioni e linee di pensiero, nell'ambito della nostra cultura e della nostra tradizione filosofica e medica.

Siamo infatti convinti che proprio in seno alla cultura occidentale esistano attualmente i germi (moderne tecnologie e conoscenze biomediche, attenzione alle istanze psicosociali e antiche tradizioni a cui attingere) dai quali possa svilupparsi forse uno dei più articolati ed efficienti sistemi di approccio ai problemi della salute individuale e sociale.

Per raggiungere questi obiettivi non basta aggiungere tecniche ritenute ortodosse a tecniche ritenute non ortodosse nell'ambito di un puro e semplice eclettismo. Andrebbe perso così l'enorme patrimonio filosofico e culturale che ha ispirato, in molti casi da millenni, le diverse metodologie d'approccio all'uomo sano e malato, conferendogli un senso e una indiscussa validità.

Occorre infatti operare alla luce di un criterio di complementarietà nell'ambito del quale siano valorizzati e reciprocamente arricchiti sia l'approccio cosiddetto riduzionistico che domina ampiamente l'attuale modello biomedico, sia l'approccio cosiddetto olistico che domina ampiamente molte dottrine mediche appartenenti a diverse tradizioni e culture.

Ognuno di questi approcci, spinto alle estreme conseguenze, manifesta dei limiti che possono venire superati in gran parte mediante l'elaborazione di un modello sistemico-integrato che conservi e incrementi le straordinarie potenzialità dell'apporto della moderna tecnologia inserendole in un contesto antropologico nel quale i valori della persona e delle sue relazioni con l'ambiente e con i suoi simili, siano posti imprescindibilmente al centro delle attenzioni umane e scientifiche del medico.

In altre parole ciò che oggi sta emergendo sia da parte dei medici che dei pazienti è un urgente bisogno di ricomposizione unitaria delle 'differenti razionalità' che stanno alla base delle diverse visioni della salute e della malattia.

Da un lato una visione ‘scientifica’ che, identificando la malattia con una complessa serie di meccanismi biochimici e umorali, ne fa un'entità astratta e atemporale, oggetto primario delle attenzioni della professionalità medica. Dall'altro una visione ‘antropologica’ che, emergendo da un complesso intrecciarsi di vissuti e di immagini, si identifica con la stessa esperienza di vita della persona ed assume tutta la concretezza di un fatto ‘storico’, vincolato a un irripetibile contesto spazio-temporale che coinvolge simultaneamente l'individuo e il suo ambiente. E questa visione è parte integrante di quella ‘cultura della salute’ che accomuna in diversa misura le ‘medicine diverse’ nel loro approccio al malato.

Questi due punti di vista sono spesso considerati antitetici e causa di una sorta di incomprensione fra medici e pazienti da un lato e di una sorta di frattura interna fra competenza affettiva e competenza scientifica del medico dall'altro.

Questa frattura è tutt'altro che insanabile. Se si riflette attentamente è facile accorgersi che non si tratta di due approcci inconciliabili, ma di punti di vista che si riferiscono a diversi livelli di organizzazione della persona umana. Uno attinente in senso stretto alla sua matrice biologica e ai meccanismi interni di autoregolazione propri di tutti gli 'individui' della sua specie, l'altro attinente a quelle complesse dinamiche esistenziali che, facendo dell''individuo' una 'persona', gli consentono di pilotare la sua matrice biologica verso la realizzazione degli obiettivi prescelti.

Ed è qui che, parafrasando E.Morin [2], si realizza un'interazione di livelli di crescente complessità, l''identico' (idem) che definisce una specie e l''identità' (ipse) che definisce una persona.

Finora la medicina sembra aver diretto le sue attenzioni quasi esclusivamente sull'idem, lasciando per lo più alla psicologia il compito di occuparsi dell'ipse, perpetuando così quella profonda frattura fra mente e corpo, fra oggetto e soggetto, che da oltre tre secoli ispira la nostra concezione dell'uomo e del mondo.

E' quindi su questo sfondo culturale che va riconsiderato il problema della diversa concezione della salute e della malattia che emerge dal punto di vista del medico 'tecnocrate' e dal punto di vista dell'uomo malato, luogo d'incontro di quelle dinamiche psicobiologiche che fanno della malattia un evento ben più complesso e carico di significati rispetto a quanto di essa appare rimanenendo ancorati esclusivamente al sottostante livello di organizzazione biochimico-umorale.

Oggi infatti il malato, l'uomo, sente sempre più il bisogno di riappropriarsi della capacità e della possibilità di gestire più consapevolmente la propria salute e il proprio essere malato, cercando di comprenderne il 'senso' che riveste nella sua vita.

Questo implica la maturazione del suo stesso ruolo da oggetto che subisce passivamente gli interventi della professionalità medica, a soggetto attivamente partecipe e consapevolmente responsabilizzato nel processo di gestione della sua salute e di prevenzione di un possibile riammalarsi.

E' facilmente comprensibile come il tipo di medico che il malato oggi cerca sempre più, è un medico alleato, disposto ad ascoltare, con una sensibilità maggiore per i problemi della persona, con la capacità di affiancarsi a lui rispettando le sue scelte, per aiutarlo a trovare il modo più efficace, relativamente alle sue risorse, di risolvere o gestire il suo personale problema. Un medico, quindi, che riconosca e sappia comunicare su tutti i livelli di organizzazione della persona, rendendo così ancora più efficace il suo intervento professionale.

E' quindi alla luce di queste imprescindibili premesse che ci accingeremo ora a verificare, in breve, se esistono delle vie che consentono una validazione scientifica delle ‘medicine diverse’.

  

La validazione scientifica

Molto spesso si afferma che le ‘medicine diverse’ si sottraggono totalmente a una verifica della loro efficacia mediante il metodo sperimentale.

Premesso che sarebbe fortemente riduttivo l'utilizzo di questo unico criterio di valutazione per legittimare teorie e pratiche che, perlomeno in molti casi, affondano le loro radici in tempi e culture assai distanti dalla nostra e che fondano il loro operare su concetti di salute e di malattia e su modelli di approccio alla persona ben più complessi di quelli dell'attuale modello biomedico dominante, mostreremo tuttavia come, a certi livelli d'indagine, il metodo sperimentale possa essere non solo utile ma indispensabile.

Il problema dell'efficacia delle ‘medicine diverse’, strettamente correlato a quello della validazione scientifica, va considerato a tre livelli distinti:

1 - l'efficacia degli strumenti utilizzati nel produrre effetti biologicamente rilevabili (problema particolarmente dibattuto in omeopatia)

2 - l'efficacia nel produrre effetti terapeutici

3 - l'efficacia generale a medio e a lungo termine, nel migliorare la salute del singolo e della collettività, di un approccio articolato, di ispirazione sistemica piuttosto che riduzionista, e che pone al centro delle sue attenzioni l'uomo e le sue dinamiche relazionali piuttosto che la malattia come entità astratta e atemporale.

Molte posizioni fra loro in conflitto emergono laddove non ci si rende conto che si sta parlando di diversi livelli di organizzazione dei sistemi viventi: cellulare, organismico, sociale.

Qualsiasi intervento diretto a modificare uno di questi livelli, a crescente grado di complessità, avrà inevitabilmente effetto su tutti gli altri, anche se in tempi diversi.

Ogni procedura e ogni strumento d’indagine che miri a valutare l’efficacia, dovrà quindi essere adeguato alle caratteristiche del livello in esame.

La categoria ‘medicine diverse’ rappresenta in realtà un arcipelago di approcci teorici e/o pratici ai problemi della salute notevolmente disomogeneo.

Vi ritroviamo infatti tutti quegli approcci che, nel già citato rapporto dell'O.M.S., vanno sotto la denominazione di "medicine tradizionali". Gli Autori del rapporto sottolineano in proposito che

"'Medicina tradizionale' è un termine vago, usato in genere per indicare pratiche mediche antiche e specifiche di certe culture, preesistenti all'applicazione della scienza ai problemi della salute nella medicina ufficiale moderna o allopatia [...] E' inoltre un termine inadeguato, perchè sembra implicare che vi sia un qualche corpo di principi, conoscenze e tecniche, comune a tutte le varietà di medicina tradizionale e perchè non distingue sistemi complessi e onnicomprensivi, come l'Ayurveda, dalla pratica di semplici rimedi casalinghi."

E' infatti opportuno distinguere, ad esempio, i complessi edifici culturali che caratterizzano le Medicine orientali, vere e proprie ‘concezioni del mondo’ che ispirano tutta la teoria e la prassi medica, da altri tipi di approccio ai problemi della salute che, pur rifacendosi spesso a tradizioni più o meno antiche e a basi teoriche più o meno articolate, non costituisco-no tuttavia dei veri e propri sistemi autonomi di medicina.

A questi ultimi sarebbe più opportuno riferirsi nei termini di metodologie biomediche tradizionali quali, ad esempio, la medicina manipolativa e la fitoterapia.

Data la vastità e la complessità della materia, rimandiamo alla ricchissima letteratura oggi esistente in merito. Riteniamo particolarmente utile la lettura del già citato rapporto dell'O.M.S., non solo per la esauriente panoramica introduttiva ai più elementari principi teorici che sono alla base delle diverse discipline, ma anche per l'apprezzabile sforzo di individuarne i valori al fine di superare i rispettivi limiti in un'ottica di "assistenza medica integrata". In un capitolo così intitolato si conclude infatti che

"Sembrano esservi oggi valide ragioni per una più stretta integrazione fra medicina tradizionale e medicina allopatica. Molti farmaci allopatici derivano da scoperte tradizionali; molte potenti e utili tecniche, applicate ordinariamente dalla medicina allopatica, potrebbero arricchire notevolmente la pratica della medicina tradizionale e infine concetti e pratiche tradizionali potrebbero arricchire la medicina allopatica [...] In molti casi la collaborazione nella ricerca, nella formazione professionale e nella pratica medica, potrebbero rafforzare entrambi i sistemi [...].

Il mezzo più importante per sviluppare rapporti di collaborazione potrebbe essere quello di dare inizio a scambi di informazioni [...]."

Pur non esistendo, come già rilevato dal rapporto dell'O.M.S., un "corpo di principi, conoscenze e tecniche, comune a tutte le varietà di medicina tradizionale", si deve comunque riconoscere che ci troviamo sempre di fronte ad una rappresentazione dei fenomeni vitali che scaturisce da un modo di pensare il mondo sotto la categoria della totalità.

 

 

 1 - Efficacia nel produrre effetti biologicamente rilevabili.

 

Tratteremo qui alcuni problemi che sollevano le maggiori obiezioni, a livello del dibattito pubblico, riguardo all'efficacia delle ‘medicine diverse’ e in particolare dell'omeopatia.

Nell'ambito di molti approcci cosiddetti globali ai problemi della salute, si fa spesso riferimento ai concetti di ‘circolazione energetica’, ‘campi di energia’, ‘trasmissione di informazione’ e così via che richiamano l'attenzione sulle proprietà collettive della materia vivente piuttosto che sulle proprietà locali delle singole molecole.

Lo scetticismo col quale spesso si guardano le ‘medicine energetiche’ è in genere motivato dal fatto che le energie in gioco sono di intensità così debole da trovarsi al limite della risoluzione dei nostri strumenti di misura. La loro ultradebole intensità, quindi, è spesso ritenuta a torto sinonimo di inefficacia nel produrre effetti biologici.

D'altra parte le peculiari caratteristiche bioelettriche della pelle rilevabili in corrispondenza dei punti di agopuntura e del tragitto dei cosiddetti meridiani, sono note da tempo. Tant'è che, sfruttando queste caratteristiche, esiste oggi un ricco strumentario elettromedicale che consente sia la determinazione dei punti di agopuntura sia la rilevazione di effetti biologici indotti da opportune manovre di stimolazione degli stessi punti.

Studiando la distribuzione somatotopica dei punti, J. Bossy scrive [3],

"[...] nel 50% dei casi l'agopuntura si presenta come una riflessoterapia segmentaria. Quali meccanismi si possono invocare per la restante metà? Tre sembrerebbero i più importanti: 1) legami eterosegmentari costituzionali come quelli che si ritrovano nella sequenza della deambulazione; 2) azioni umorali od ormonali mediante stimolazione dell'innervazione ghiandolare; 3) organizzazione soprasegmentaria simile a quella delle riflessoterapie in relazione con il territorio del nervo trigemino (formazione reticolare) e attraversante i livelli sottogiacenti talamici e corticali."

E' noto da tempo, infatti, come, sia l'agopuntura sia svariate tecniche di rilassamento psicofisico (training autogeno, yoga, meditazione, ecc.), siano in grado di interferire in modo quantitativamente apprezzabile sui livelli plasmatici e tissutali di numerose sostanze e su numerosi indici metabolici (endorfine, cortisolo, acido lattico, colesterolo, pressione arteriosa, ritmo cardiaco e respiratorio, EEG, consumo di ossigeno, gittata cardiaca, ecc.).

Il transfert sanguigno dell'analgesia agopunturale nel coniglio è stata la prima prova sperimentale che ha suggerito l'esistenza di un meccanismo umorale alla base dell'azione sistemica dell'agopuntura [4], ma si deve a B. Pomeranz la correlazione tra endorfine e analgesia agopunturale [5].

 

 

Anche per l'omeopatia recenti dati sperimentali suggeriscono l'esistenza di meccanismi umorali, ma qui la questione sembra essere ben più complessa.

Fondata duecento anni fa da Samuel Hahnemann (1755 - 1843), l'omeopatia è caratterizzata dal fatto che la malattia è vista non tanto come entità esistente di per sè, ma come la miglior forma di reazione di cui un organismo è capace, in quel particolare momento della sua vita, a molteplici agenti esogeni ed endogeni.

Il trattamento, molto in breve, consiste nella somministrazione di piccole dosi di un rimedio che, somministrato in alte dosi a un soggetto sano, determina l'insorgenza degli stessi sintomi della malattia che si deve curare ("similia similibus curantur").

Il maggiore ostacolo posto sulla via di un riconoscimento scientifico dell'omeopatia è sempre stato, sostanzialmente, l'alta diluizione dei rimedi impiegati (in alcuni casi oltre il numero di Avogadro), ritenuti proprio per questo privi di attività farmacologica.

Gli studi più recenti indicano che la soluzione del problema è da ricercarsi a livello biofisico.

Particolarmente importanti sono le ricerche di Fritz Albert Popp, docente di biochimica presso l'Università di Kaiserlautern (RFT), che, partendo dalle prime osservazioni sulla radiazione mitogenetica ultradebole scoperta da A.G. Gurwitsch nel 1923, ha sviluppato una serie di studi che l'hanno portato a dimostrare che la materia vivente emette una radiazione fotonica ultradebole e che tale emissione, fatto fondamentale, deriva

"da un campo elettromagnetico con un grado sorprendentemente alto di coerenza rispetto a quello dei campi tecnici (laser)" [6].

Il fenomeno della ‘coerenza’, che definisce la caratteristica ‘non caotica’ di una emissione energetica, è infatti perfettamente in grado di spiegare come energie ultradeboli possano stare alla base di una efficace comunicazione intra e intercellulare grazie all'innesco di fenomeni di risonanza.

La fonte principale di questa emissione biofotonica coerente, assolutamente diversa quindi dalla bioluminescenza, è risultata essere il DNA. Precise correlazioni, inoltre, sono state dimostrate fra l'intensità dei fotoni e gli stati conformazionali del DNA (Rattemeyer M., Popp F.A., Nagl W., 1981) o l'attività di DNasi durante la meiosi (Chwirot W.B., Dygdala R.S., Chwirot S., in pubblicazione su Cytobios) [6];

"Quando, dove e quali livelli energetici della materia biologica vengono attivati, viene determinato dal campo spazio-temporale biofotonico. Questo determina direzione e svolgimento dei processi biochimici.

Radiofrequenze attivano così in modo mirato stati di traslocazione e di rotazione, microonde e frequenze infrarosse modulano gli stati oscillatori, frequenze ottiche e UV procurano l'attivazione degli stati elettronici.

L'intero spettro necessario può essere prodotto dal DNA - specialmente in interazione cooperativa intercellulare con le sequenze di DNA adiacenti" [7].

In breve F.A. Popp, in una ricerca sull'efficacia dell'omeopatia condotta per il Ministero della Sanità tedesco [8], utilizzando un fotomoltiplicatore appositamente progettato e realizzato, ha dimostrato che colture cellulari stimolate con diluizioni omeopatiche, reagiscono con un aumento drastico dell'emissione biofotonica a differenza dei controlli che non manifestano alcuna variazione degli stessi parametri.

 

 

Di estremo interesse sono inoltre gli studi di H. Wagner (Docente di Biologia Farmaceutica all'Università di Monaco di Baviera) sulla risposta immunologica in vitro e in vivo a farmaci a bassi dosaggi [9].

L'Autore ha messo in evidenza come farmaci attualmente utilizzati in chemioterapia antitumorale (azatioprina, ciclofosfamide, metotrexato, colchicina, vincristina) hanno un effetto immunosoppressore quando utilizzati in alte dosi e spiccatamente immunostimolante quando somministrati in alte diluizioni.

Analogo effetto immunostimolante è stato dimostrato mediante somministrazione di preparati omeopatici da tempo utilizzati in terapia con questa specifica indicazione.

H. Wagner, quindi, utilizzando i più moderni tests di valutazione della risposta immunitaria oggi disponibili, ha dimostrato che l'inversione degli effetti osservata a diverse concentrazioni di una medesima sostanza, corrisponde esattamente alla ben nota "legge di Arndt-Schulz" enunciata già nel 1872 ("dosi elevate hanno effetto tossico o inibente sulla funzionalità di un organo o di una cellula, mentre dosi basse hanno effetto stimolante").

Riprendendo un analogo effetto denominato da Southam ed Ehrlich, nel 1943, "hormoligosis", Luckey, nel 1960, ha formulato la sua definizione di "hormesis": "ogni agente, chimico o fisico, può avere effetto stimolante, se somministrato in quantità inferiori alla dose riconosciuta come tossica".

Un'altra importante osservazione sottolineata da H.Wagner a proposito delle alte diluizioni, riguarda gli studi di Sachs (Istituto Weizmann - Israele) in campo oncologico:

"[...] aggiungendo basse concentrazioni di lipo-polisaccaridi, esteri forbolici, ormoni o citostatici - come, per esempio, metotrexato o citosin-arabinoside - a cellule leucemiche mielotiche è possibile indurre in queste cellule la differenziazione e quindi una inversione del processo canceroso.

Questo effetto d'induzione viene spiegato in base alla produzione di ‘colony stimulating inducer-proteine’, che evidentemente sono responsabili per l'induzione di fattori di ‘espressione’ o di ‘repressione’ e quindi per la regolazione dell'accrescimento cellulare".

 

 

Ci sembra infine doveroso ricordare gli studi di Jacques Benveniste e Coll. pubblicati su Nature nel giugno 1988 [10].

E' un lavoro che merita tutte le nostre attenzioni nonostante le spesso discutibili polemiche che a suo tempo hanno riempito la stampa di tutto il mondo e che ci sembra del tutto inutile riprendere in questa sede.

Utilizzando il ben noto test di degranulazione dei basofili, da lui stesso messo a punto nel 1975 per la diagnosi di laboratorio delle allergie, Benveniste avrebbe dimostrato che tale degranulazione può essere indotta da soluzioni di anticorpo anti-IgE a alta diluizione ovvero comprese in un 'range' da 1x102 a 1x10120.

A dare garanzia al lavoro, oltre alla indiscussa autorità dell'Autore e dell'INSERM ("Institut National de la Santè et de la Recherche Médicale" di Parigi) da lui diretto, hanno contribuito altri dodici ricercatori di quattro paesi (Canada, Francia, Israele, Italia), appartenenti alle Università di Toronto, Montpellier, Gerusalemme e Milano e al Kaplan Hospital di Rehovot, che hanno tutti ripetuto e confermato l'esperimento.

Leggendo il lavoro tre sono i punti estremamente interessanti:

1 - L'efficacia, nel dare effetti biologicamente apprezzabili, di una diluizione spinta oltre il numero di Avogadro (che esprime il numero di molecole presenti in una grammomolecola di sostanza ed è circa 6,23 x 1023)

2 - L'andamento periodico con cui la degranulazione si presenta all'aumentare delle diluizioni. La dinamica del fenomeno osservato, infatti, non ha un andamento continuo ma procede per picchi di degranulazione che si ripetono con periodo da 6 a 9 diluizioni decimali. Anche per le centesimali gli Autori hanno verificato un simile andamento ritmico.

3 - La degranulazione si manifesta solo se la diluizione viene preventivamente sottoposta a una vigorosa agitazione ("vigorous shaking") per dieci secondi. Un'agitazione più prolungata di 30 o 60 secondi, non sembra incrementare ulteriormente l'attività della diluizione.

Questo procedimento ricorda (e per correttezza non riteniamo per ora di poter dire altro) invero la 'dinamizzazione' del rimedio omeopatico, ritenuta da sempre un passaggio indispensabile nella preparazione del rimedio stesso per poterne apprezzare gli effetti in terapia, da molti irrisa e ritenuta un inutile rituale senza fondamento.

Sicuramente tutto quanto osservato nell'esperimento di Benveniste pone dei grossi problemi di interpretazione che le ricerche tuttora in corso stanno cercando di chiarire, ma affermare che non esiste attualmente alcuna base fisica utile per una possibile spiegazione del fenomeno potrebbe non essere esatto.

Da alcune ricerche recenti e non recenti sembra che gli strumenti concettuali della fisica quantistica possano bastare per lo meno per iniziare a comprendere un fenomeno sicuramente incredibile ma non inspiegabile.

Il problema infatti è riuscire a capire come l'acqua possa conservare l'informazione della sostanza ormai non più presente alle alte diluizioni e, mettendo palesemente in discussione la presunta indispensabilità della presenza del cosiddetto principio attivo per determinare effetti biologicamente apprezzabili, trasmetterla anche in assenza di esso.

L'ipotesi che le molecole d'acqua possano, in determinate situazioni, costituire una sorta di 'stampo' non sembra plausibile in un mezzo liquido dove avvengono movimenti molecolari estremamente rapidi.

Già da molti anni, infatti, i fisici hanno verificato che l'acqua si comporta, in determinate situazioni, come un "laser a dipoli elettrici liberi". "[...] Il tipo di ordine riguarda appunto il modo di oscillare mentre non sembra esserci nessuna correlazione per le posizioni dei dipoli" [11]. Ecco perchè, come sottolinea E.Del Giudice (Istituto nazionale di Fisica nucleare di Milano) nel riferire una serie di studi sulle diverse fasi dell'acqua nei sistemi biologici, la diffrazione dei raggi X (molto utile nello studio della disposizione spaziale delle molecole che costituiscono una struttura cristallina) non fornisce alcuna risposta positiva nella ricerca di un supposto ordine spaziale delle molecole d'acqua.

Si tratterebbe invece di un ordine dinamico sostenuto da fenomeni di risonanza fra i modi di oscillazione dei dipoli elettrici dell'acqua. Uno strumento più adatto a mettere in evidenza fenomeni così 'veloci' come le vibrazioni elettriche è l'effetto Raman, in grado di evidenziare eventi della durata di 10-12 secondi.

Questo ha permesso di dimostrare la presenza di vibrazioni coerenti (in fase, come nei laser) nella materia vivente dovute a fenomeni di risonanza fra i modi di oscillazione dei dipoli elettrici non solo dell'acqua, ma delle più diverse macromolecole organiche.

Il segreto della 'memoria' dell'acqua e della trasmissione dell'informazione in essa contenuta non è quindi una novità emersa dagli studi di Benveniste, ma è un fenomeno da tempo noto ai biofisici e che, dagli studi compiuti finora, sembra risiedere nell'innesco di un fenomeno di risonanza fra i dipoli elettrici di diverse biomolecole con conseguenti impensabili fenomeni di amplificazione di segnali ultradeboli.

In breve abbiamo voluto mostrare come il lavoro di Benveniste e Coll. si inserisca nel già ricco filone di studi di scienziati del calibro di Frölich, Walrafen, Webb, Davydov e molti altri e come sia facile vederne le possibili connessioni con gli studi di F.A.Popp sopra riferiti.

In sintesi l'omeopatia e l'allopatia - come sottolinea Popp [8] - secondo queste considerazioni, e per quanto si riferisce alla loro efficacia, non si escludono l'una con l'altra, perchè al contrario, determinano intereffetti che, opportunamente integrati nello stesso sistema, possono consentire al medico di intervenire sul malato con quell'efficacia che deriva da una strategia d'intervento personalizzata.

Ci siamo intrattenuti un po' a lungo su questi argomenti per mostrare come il problema delle alte diluizioni e delle energie ultradeboli sia oggi al centro di importanti e feconde ricerche e come sia tutt'altro che scontata la loro supposta inefficacia nel produrre effetti biologicamente apprezzabili.

Questi studi, tesi a chiarire i più intimi meccanismi di regolazione dei processi biologici, e che per molti aspetti convergono nel vasto campo di ricerche oggi in corso in tema di psico-neuro-immuno-endocrinologia, sembrano costituire così un'interfaccia tra la moderna medicina occidentale e quelle ‘medicine diverse’ che sono da tempo oggetto di una crescente attenzione da parte non solo di un vasto pubblico, ma anche degli stessi medici.

 

 

2 - L'efficacia terapeutica: la sperimentazione clinica.

 

Lasciando al lettore interessato il compito di consultare l'ormai amplissima letteratura sulle riviste specializzate di agopuntura e omeopatia, riteniamo utile, in questa sede soffermarci brevemente su una importante questione di metodo che riguarda in particolare la sperimentazione clinica in omeopatia.

Alcuni anni orsono aveva fatto molto scalpore un lavoro pubblicato su Lancet da Shipley M. et Al. [12], nel quale il rimedio omeopatico Rhus toxicodendron CH6 era stato messo a confronto con un placebo e con fenoprofene nel trattamento dell'osteoartrite.

Il lavoro concludeva per l'inefficacia del rimedio omeopatico, rispetto al fenoprofene, nel produrre un miglioramento dei sintomi.

Nell'agosto 1989, Fisher P. et Al. hanno pubblicato un lavoro su British Medical Journal [13] nel quale, commentando le conclusioni del precedente lavoro di Lancet, riflettono che

"Due sono le interpretazioni: o gli effetti dell'omeopatia sono solo un effetto placebo - cioè un vero negativo - o il risultato è stato un falso negativo, dovuto a difetti di progettazione".

Per chiarire il problema hanno progettato un lavoro nel quale la scelta dei pazienti non è stata fatta in modo indiscriminato, come nel lavoro di Lancet, ovvero solo sulla diagnosi di 'malattia'. Questo criterio, infatti, non è quello seguito dal medico omeopata nel porre una indicazione terapeutica. Gli Autori del lavoro hanno correttamente rilevato infatti che

"Il problema principale della progettazione dei lavori clinici di omeopatia è rappresentato dal fatto che le prescrizioni sono basate sia sul quadro dei sintomi che sulla diagnosi. Un lavoro clinico basato solo sulla diagnosi risulta pertanto inadeguato".

Tenendo conto di questa fondamentale premessa, hanno progettato un nuovo lavoro nel quale la selezione dei pazienti è stata fatta con questi criteri:

"In uno studio pilota, avevamo dimostrato che Rhus toxicodendron CH6, con una percentuale del 42%, era il rimedio omeopatico più comunemente indicato nei nostri pazienti affetti da fibrosite [...] Nello studio sono stati inclusi solo pazienti con questa sindrome, per i quali era stato indicato positivamente il rimedio omeopatico Rhus toxicodendron CH6. Trenta pazienti, che rispondevano ai criteri di ammissione, sono stati prescelti nel reparto di reumatologia dell'ospedale...Il lavoro è stato condotto in doppio cieco, versus placebo e con controllo incrociato (in crossover)...Dopo l'ammissione, non vi è stato più alcun contatto fra omeopata e paziente fino al termine del trattamento".

Osservando questa procedura e sottoponendo i pazienti a trattamento attivo o con placebo per la durata di un mese, gli Autori hanno così concluso:

"Abbiamo mostrato come il rimedio omeopatico Rhus toxicodendron CH6 sia risultato efficace per un selezionato sottogruppo di pazienti affetti da fibrosite. E' particolarmente chiaro un miglioramento della sensibilità, che è il miglior discriminatore della fibrosite. Il miglioramento rilevato dai nostri pazienti durante il trattamento attivo è stato quantomeno della stessa portata di quello riscontrato con qualsiasi trattamento eseguito in doppio cieco".

Ci siamo volutamente dilungati su questo recente lavoro perchè mostra inequivocabilmente come sia perfettamente possibile eseguire una corretta sperimentazione clinica in omeopatia, facendo interagire le 'differenti razionalità' della medicina omeopatica e della cosiddetta medicina allopatica.

Siamo infatti convinti che la corretta applicazione del metodo sperimentale può contribuire in modo determinante a conferire alle ‘medicine diverse’ quella validazione scientifica che è il presupposto irrinunciabile per una possibile e auspicabile integrazione con l'attuale modello biomedico.

 

 

3 - L'efficacia nel migliorare la salute del singolo e della collettività.

 

Questo aspetto è strettamente correlato con la cultura sistemica che ispira l'approccio psicobioecologico ai problemi della salute delle ‘medicine diverse’.

Va sottolineato infatti ancora una volta come il parametro dell'efficacia, se male inteso, impoverisca la complessità del problema rispetto alla sua ben più ampia portata epistemologica, antropologica e sociologica, e come l'efficacia sia un concetto del tutto relativo all'ambito ideologico nel quale vengono esaminati i concetti di salute e di malattia.

In questo senso è sicuramente riduttivo considerare l'efficacia solo nei termini di minor tempo impiegato a risolvere un sintomo. Una tale posizione è coerente con una concezione della malattia di tipo deterministico, secondo una logica lineare che oggi, di fatto, è messa in discussione dalla maggior parte dei medici [14].

In realtà lo sfondo ideologico su cui si collocano le ‘medicine diverse’ è da ricercarsi "in una visione totalizzante dell'uomo che nella cultura e nella medicina occidentale è andata perduta" [14].

La malattia, da semplice alterazione strutturale ben localizzata nella matrice biologica, viene vista come sintomo di una disarmonia di processi biopsicosociali.

Ecco allora che il criterio dell'efficacia deve assumere un significato di ben più ampia portata.

E' l'efficacia complessiva di un approccio articolato, che tiene conto della reale dimensione biopsicosociale del problema.

Il sintomo-malattia non è più l'esclusivo oggetto delle attenzioni della Medicina, rompicapo da risolvere, ma viene decodificato, attraverso la ricerca delle sue relazioni con gli altri sintomi e con le situazioni esistenziali specifiche della persona che riempiono di 'significati' l'esperienza di malattia.

‘Efficacia’ qui significa, quindi, non solo capacità di controllo di un sintomo invalidante (che ovviamente non deve mancare), ma anche e soprattutto validità di un tale approccio in termini di educazione alla salute, prevenzione sulla lunga distanza, riduzione di recidive, miglioramento nel tempo della qualità della vita, incremento delle capacità di autogestione e magari (perchè no?!) riduzione della spesa pubblica in fatto di sanità e non.

In pratica l'efficacia assume una portata diversa se valutata in relazione a ciò che ci si propone di ottenere con un approccio diagnostico-curativo, che insegue esclusivamente obiettivi riparativi della 'macchina' corporea, o con un approccio in cui il momento diagnostico-curativo diviene l'occasione per avviare un processo che mira al raggiungimento di una maggiore consapevolezza, da parte del paziente, dell'importanza del nostro ruolo attivo quale determinante, sulla lunga distanza, delle condizioni di salute e di malattia.

A questo livello, quindi, l'‘efficacia’ potrà essere verificata solo con gli strumenti dell'epidemiologia.

 

 

Dopo questo breve 'excursus' ci rendiamo facilmente conto come, per raggiungere questi obiettivi, sia necessaria una nuova figura di medico, formato, prima di tutto in sede universitaria, alla luce di quell'emergente cultura della complessità che, non a caso, sta spingendo sempre più medici e pazienti [14] verso la ricerca di forme più adeguate, soddisfacenti e articolate di assistenza sanitaria sia sul piano della relazione umana sia sul piano delle possibilità terapeutiche.

  

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B I B L I O G R A F I A

  

[1] Traditional medicine and Health Care Coverage. A Reader Health Administrators and Practitioners, O.M.S. - Ginevra, 1983. Tr.it.: Il ruolo delle medicine tradizionali nel sistema sanitario. Valutazioni scientifiche e antropologiche, Edizioni RED, 1984.

[2]Morin E., La vita della vita, Feltrinelli, Milano 1987, p.16

[3] Bossy J., Bases neurobiologiques des réfléxothérapies, Masson et C.ie Editeurs, Paris, 1975. Tr.it.: Basi neurobiologiche delle riflessoterapie, Masson Italia Ed., 1977.

[4] Huard P., Bossy J., Mazars G., Les médecines de l'Asie, Ed. du Seuil, Paris, 1978. Tr.it.: Le medicine dell'Asia, Ed. Dedalo, Bari 1981. (La lettura di questo testo è particolarmente interessante per l'esposizione chiara e concisa della storia e dei principi teorico-applicativi del-lo Yoga, dell'Ayurveda, della Medicina cinese e dell'agopuntura. Ampia parte è dedicata al rapporto con la Medicina occidentale, alla formazione del medico e alla medicina preventiva).

[5] Pomeranz B., "Naloxone blockade of acupuncture analgesia: endorphin implicated", in "Life Sciences", XIV (1976), pp. 1757-1762. Citato in [3].

[6] Popp. F.A., "Emissione ultradebole e coerente dei biofotoni da tessuti viventi" (in Disequilibrium and Self-Organization, 1986 - D. Reidel Publishing Company), Rivista Italiana di Omotossicologia, apr.-giu.1989, pp.24-34.

[7] Popp F.A., Nuovi orizzonti in medicina: La teoria dei biofotoni, (Karl F. Haug Verlag GmbH & Co., Heidelberg 1983), I.P.S.A. Ed., Palermo, 1985

[8] Popp F.A., "Risultati di un programma di ricerca sull'efficacia dell'omeopatia condotto per il Ministero della Sanità tedesco" - Relazione II Convegno Heel, Milano 23.5.1987

[9] Wagner H., "Studi immunologici in vitro e in vivo con farmaci vegetali a bassi dosaggi" - Relazione III Convegno di Omotossicologia - Milano 14.5.1988

[10] Benveniste J. e Coll., "Human basophil degranulation triggered by very dilute antiserum against IgE", Nature, 30.6.1988

[11]Del Giudice E., "Fisica dei sistemi biologici e medicine alternative", in Omeopatia e bioenergetica, Cortina International, Verona 1984

[12] Shipley M. et Al., "Controlled trial of homoeopathic treatment of osteoarthritis", Lancet, 1983, i:97-8

[13]Fisher P. et Al., "Effect of homoeopathic treatment on fibrositis (primary fibromyalgia)", Br.Med.J., 1989, 299: 365-6

[14] Losi N., Gli amici dell'acqua. Medici pazienti e medicine alternative, F.Angeli, Milano 1990